
Perché il mio amore era così grande, selvaggio, inarrestabile, che è bastato. Perché io ti ho cercata da sempre, ho scalato montagne a mani nude per te. Ho lavorato fino a stremarmi. Non ho mai smesso. Perché sei figlia del mio amore, di un amore indomabile, irragionevole. Perché la nostra storia era già scritta nel DNA dell’Universo. Perché l’amore forgia i sogni, apre le strade, abbatte gli ostacoli. Non un passo indietro quando si è trattato di te. Mai. Come un’eroina. Come Giovanna d’Arco. Sola. Contro tutti. Senza nessuno. Io bastavo. Mi sono fatta casa. Mi sono svuotata. Ho fatto spazio. Ti ho accolta senza riserve. E tu ti sei attaccata a me con una voglia selvaggia di vivere. Mi graffiavi il ventre i primi tempi. Eri una lama. E ad ogni colpo sorridevo e danzavo. Mi guardavo il seno e vedevo come lo stavi cambiando, come si preparava a nutrirti. Sono stata tuo ostaggio. Tu comandavi. Io finalmente seguivo.
Non ti ho immaginata. Ero curiosissima, però. Ero aperta, completamente. Completamente aperta a te. Ti ho incontrata in una caldissima tarda mattinata di febbraio. Prima son voluta andare a vedere il mare. Lì c’era stata una gara di castelli di sabbia e la spiaggia semideserta pullulava di quelle meravigliose opere effimere. Ti ho partorita di novembre. Dopo 40 settimane, 9 lune. Ho visto le tue celluline che si accomodavano nel mio utero e ti ho detto: “Amore mio, andiamo. Rimani con me”. Eri un minuscolo punto bianco al centro di un enorme uovo nero. E adesso sei qua. E litighiamo spesso. E non mi posso immaginare un’altra figlia possibile per me. Vorrei essere la mamma perfetta, ma non posso. Sbaglio. Arranco. Cado spesso. Ma non indietreggio. Sono qua.
Tu non hai mai avuto dubbi sul fatto che fossi proprio io la tua mamma. Sei sempre stata convinta. I primi 10 giorni sono l’inferno. Aspettare di fare il test. Il tuo fratellino non ce l’aveva fatta. Eppure con te era diverso. Tu eri così presente e risoluta! Quando ho fatto il primo conteggio delle beta ho avuto tanta paura che fossero troppo basse. 88. Poi ho inventato uno dei miei pensieri magici. Ho immaginato che quei due otto fossero due segni di infinito che facevano le giravolte. Ha funzionato. Sarò eternamente grata per questo dono immenso. Eternamente. Non ho bisogno di inventare storie: la verità è meravigliosa. La nostra storia è meravigliosa.
E così, nell’imminenza della festa del papà, mi son messa a cercare qualche favola che ci raccontasse. Cercavo qualcosa che potesse aiutare anche chi ci circonda a capire che la nostra piccola famiglia è uno dei tanti modi possibili di essere famiglia. Non ha difetti. Non è di una serie inferiore. È la nostra famiglia, nella quale cresci serena, circondata da tanto di quell’amore che non si riesce neanche a immaginare. Ci sono i nonni, gli zii, un mare di amici e vicini di casa…sei immersa in un oceano di affetti. Purtroppo la Cana ci ha lasciate prestissimo, ma per un po’ anche lei ci ha avvolte di meraviglia
E da naif quale sono, dopo aver constatato tramite internet che di bellissime storie ne narravano in tutte le lingue del mondo tranne che in italiano, mi son recata in libreria. Con un occhio a te che ti arrampicavi sullo scivolo dell’area bimbi, sono andata al punto informazioni e ho chiesto. Mi hanno guardata, amore mio, in un modo…e poi volevano convincermi che il mondo è pieno di libri che parlano di mamme sole con i figli. Ma io non cerco questo. Io voglio la nostra storia. Che è la storia di tante famiglie piccoline e felici. Che è legittima, non da legittimare. Alla fine la signorina esasperata dalla mia sorridente ostinazione, mi ha detto: “E vabbè, signora, siamo in Italia, che si aspetta?”. La sua collega aveva già abbandonato la postazione con aria di disappunto. Come se avessi avuto bisogno del suo permesso per costruire la nostra famiglina.
Io mi aspetterei che una libraia di sana e robusta costituzione mentale mi dicesse che sta constatando che c’è una mancanza, che se ne interesserà, che farà presente alla direzione, che capisce il mio disappunto sorridente…ma no, non è vero. Mi aspettavo esattamente ciò che è successo. Adesso, però, preso atto della situazione, il libro che manca dobbiamo scriverlo noi. È una buona scusa per sfuggire all’inerzia della mamma sfatta e riprendere in mano i nostri progetti e quei bellissimi sogni di gloria che nell’armadio non ci stanno più!
Che poi… noi… di papà da festeggiare ne conosciamo un sacco. Il tuo preferito è il nonno. L’anno scorso, al nido, hai preparato un bellissimo cuore di biscotto. Quando son venuta a prenderti l’operatrice mi ha dato il pacchettino con aria imbarazzata. Non capivo. Poi mi ha detto che era per la festa di San Giuseppe. Ho continuato a non capire. Solo dopo aver divorato quel buonissimo biscottone ho avuto l’illuminazione. Avrei potuto dividerlo con il nonno, certo, ma me l’ero proprio meritato, no? Quindi, tranquilli, qualunque cosa sia indirizzata ai papà la prendo io, cravatte comprese. Non vi imbarazzate più. Provate a raccontare la storia di tutti, non solo la vostra. I bambini vi guardano!