Ultimamente il foglio bianco mi paralizza. Un attimo prima ho milioni di cose da dire urgentissimamente, e l’attimo seguente…il vuoto. È che me ne stanno capitando, eeeehhh eeeee quanteeee, come ai bei vecchi tempi, ai tempi in cui Cana filava.Vi ricordate? Come quando c’era ancora lei. E dai la cana non ha mai smesso di esserci. E poi speravo che Sole dormisse per un po’, invece oggi non ne vuole proprio sapere. I bambini prendono tutto lo spazio che c’è. Non si può pensare, non si può immaginare, bisogna essere presenti, per loro e con loro. Bisogna essere terrene, solide e leggere allo stesso tempo. Vabbè questo è un discorso complesso che approfondiremo.

Il fatto è che mi manca tutto. Mi manco. Ho nostalgia di me stessa, di quella me stessa che ci metteva tutta l’anima e tutto il corpo, che creava, che lavorava, che guadagnava; ho molta nostalgia della mia dignità, della mia identità.
Allora diciamocelo chiaramente che esiste una categoria di esseri umani che vanno abrogati, almeno in Italia. Io non lo so come funzioni negli altri paesi e, francamente, non me ne frega un piffero. Non ho voglia di lottare, di fare le barricate, di chiedere, di abbassare la testa. Sapete che mi viene in mente quando mi sento così? Solange… no, non quella che leggeva la mano e le carte. Mi riferisco alla Solange de Le serve di Genet, un personaggio meraviglioso che ho avuto la immensa fortuna di interpretare nel secolo scorso in un minuscolo teatro di Napoli. Vi consiglio di andarlo a leggere questo testo. Certo non posso consigliarvi di correre a teatro a vederlo la prima volta che sarà messo in scena, perché, parliamoci chiaro, il teatro è stato abrogato da un pezzo, come tutt*qull*che lo abitavano, lo animavano, lo rendevano possibile. Ma torniamo a noi. Solange, la serva, che ha dovuto, suo malgrado, servire ed essere remissiva per tutta la vita, tenere la schiena curva e compiacere la padrona, nel monologo finale della piece si riprende la posizione eretta. “Io ho servito compiendo i gesti che occorrono per servire. Ho sorriso a madame, mi sono chinata per rifare i letti, chinata per pulire i pavimenti, chinata per sbucciare le verdure e per origliare alle porte con l’occhio attaccato al buco della serratura. Ma ora resto dritta in piedi…”, e andava avanti ancora per un pezzo visto che erano più o meno 3 pagine dattiloscritte di monologo, che io recitavo arrampicandomi su una griglia di metallo costruita apposta per lo spettacolo e compiendo uno sforzo fisico non indifferente. Sono molto orgogliosa di quel lavoro e queste poche righe di monologo le ho sempre pronunciate con una soddisfazione inenarrabile. Mi riempivano la bocca e me la riempiono ancora. Io adesso resto dritta, in piedi: sono la signora!
Ed è come mi sentivo allora che mi sono sentita oggi, uscendo dal patronato, piena di rabbia e priva di forze. Oggi, però, viaggiando verso il fondo di questo ennesimo travaglio, trovo una nuova granitica consapevolezza e la chiamo granitica non a caso perché il sistema in cui, nostro malgrado, siamo costrett* a muoverci, ci induce inconsapevolmente a dubitare dell’ovvio e rende necessarie le convinzioni granitiche che non scendono ad alcun compromesso. Io, in questo esatto momento, resto dritta in piedi e mi riprendo la mia dignità.
Mentre parlavo con l’addetta del Patronato mia figlia Sole, seduta nel suo passeggino vintage (realmente d’epoca perché ereditato dalla cugina diciassettenne), ripeteva la parola mamma e la situazione era così pesante, scura, nebbiosa, stressante e malinconica da farmi, per un attimo, dimenticare la gioia che ho impiegato decenni a conquistare e la conquista ancora più grande: la sillaba ‘ma’ ripetuta ossessivamente da mia figlia fin dal 16 marzo scorso. Allora siamo tornate a casa sotto la pioggia e faceva contemporaneamente un gran caldo e avevamo tanta fame e ho deciso che avremmo comprato la pizza anche oggi perché non bisogna essere mai troppo rigide con se stesse e questo a lei voglio insegnarlo. E quando siamo arrivate ci siamo fiondate in una vaschetta di humus di lenticchie e nel sugo di una pizza rossa e abbiamo riso, tantissimo. Lei mi ha presa in giro come fa di solito quando la rimprovero perché sta lanciando cibo e posate ovunque e sarò costretta a ripulire la cucina da cima a fondo e sono stanca aaaahhhh se sono stanca. Ma lei mi imita, imita il tono di voce che prendo quando la rimprovero e mi fa ridere. Eh sì, abbiamo riso un sacco. Non le permetterò di rinunciare a niente, di impiegare del tempo in qualcosa che non le dia gioia e non lo permetterò a me stessa.
Perché eravamo al patronato e di pessimo umore? Stay tuned. La storia continua e…andrà tutto bene…che pest l colg tutt quant. Chi ha talento per il fallimento non soccombe mai!!!
Eddai che comunque un bel foglio grande lo hai riempito alla fine 😁
Resto sintonizzato 😉
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Io scrivo solo per sentire I tuoi incoraggiamenti😁🌻🐾
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🤗💪🏼
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