I miei pensieri si sono fatti vorticosi e sembra che il tempo non mi basti mai. Scrivere, vorrei, molto più di quanto non riesca a fare e creare, sempre: non mi basta mai. Ma vorrei anche trascorrere con Sole più tempo possibile e tacere e osservarla e bere ogni suo gesto. E ridere assieme, come facciamo, ancora più spesso. Di più. Vorrei poter scalare dal mio conto tutte quelle maledette malinconie e i giorni grigi e gli abbandoni, aaahhh, maledetti anche loro, e mai adeguatamente motivati. La presenza, oddioseesisti, la presenza è il dono più prezioso. Vorrei, oddiocomevorrei, poter bonificare tutta quella solitudine, stipata e presente a bizzeffe nella mia vita. Quanta, troppa solitudine. Vorrei dilagare, sgorgare, eruttare parole e rimproveri e discorsi e parole di ogni genere, di quelle che lasciano il segno e anche, se è il caso, fanno tanto male ma di quel male buono che poi partorisci e il parto ti conduce da un te migliore, più consapevole e…presente, kazzo, presente. La presenza è l’unico dono che posso farti!

Vorrei parlare per mesi per anni, di tutte quelle parole ingoiate e rifare i discorsi smussati per compiacere, architettati nel vano tentativo di essere amata e so che devo sbrigarmi e correre…veloce veloce dai e non ci sta più tempo neppure per la punteggiatura perché tua figlia si sta svegliando e ti vuole e la vuoi. Presente! Vorrei rifare ma poi neanche è vero che voglio rifare. Piuttosto vorrei dire finalmente IO SONO QUI!!! Non più corretta, smussata, arrotondata, diplomatica, no, no, no, io sono quiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii, questa qui, povera e pazza, ma pazza d’amore, sempre, e ferma e rotolante, contemporaneamente. Io sono qui. Io sono un atto poetico e una partita di pallone. Io voglio!
Improvvisamente si sciolgono i nodi, i macigni sul petto, le giuste ribellioni ricacciate indietro a pugni, le rivendicazioni, le ingiustizie, improvvisamente. Se lo si sapesse a quindici o a vent’anni che un giorno tutto sarà così chiaro allora si stikazzi dei giudizi e delle solitudini. Nessuna più si ammalerebbe. Niente più disturbi border line, anoressie, bulimie, autolesionismi, agorafobie, ansie…noooooo nienteeeee piùùùù. Ma non ci si può mettere in contatto con i se stessi del futuro per farsi tranquillizzare. O forse si? Soggetto per un breve racconto (vedi ‘Il gabbiano’ – Cechov). In tal caso voglio essere io a brevettare il metodo e farne dono gratuitamente a chi ne avesse bisogno.
Più Arte ci vuole, altroché, signori miei. Ce ne vuole a vagonate. Non di solo pane è fatto l’Uomo. Di pane, in verità, ne basta poco. Ed eccola che si sveglia, ma io troverò il modo di rotolare a fine discorso. E di questo faticoso e insano giustificarsi dei poeti, degli artisti, dei funamboli della fantasia, ne vogliamo parlare? Lei, Sole, gioca con una scatola bianca a pallini azzurri. Mette oggetti e toglie oggetti. Secondo un ordine tutto suo, che io non capisco. Perché dovrei? Sta nel suo mondo, beata, a fare scoperte che io forse non farò mai e mi da il tempo di rotolare ancora un po.
Vorrei poter vomitare in un bolo solo tutto il dolore dell’essere estranea, ovunque, sempre, e tutta la gioia della scoperta di un’appartenenza nuova. Non deve succedere più. Nessuno mai più sia messo all’angolo perché pensa e vive e sogna fuori dalle righe di un mondo che non ha scritto e che, francamente, parliamoci chiaro, detesta. Si. Detesto il consumo, l’assenza, la fretta, la solitudine che è isolamento, l’obbligo di essere altri da se, i sistemi di valutazione delle scuole, molta pedagogia, la religione imposta, essere moglie, il costume di uccidere e cibarsi di esseri senzienti, la necessità di essere magri…non è finita e non ho tempo. Ma perché mi domando perché? E poi amo amo da morire…
Amo il suono di certe carte che si scartano e i sorrisi che si aprono naturalmente come le porte delle chiese per i pellegrini e il sapore di tutto e certi incontri che non c’è proprio nessun prezzo da pagare e gli occhi rapiti dei bimbi e le loro voci e il pubblico e quell’attimo di silenzio tra il sipario e l’inizio dello spettacolo e il tempo trascorso a scrivere e giocare a palla sapendo di non essere in grado di farlo, solo per giocare, si, amo giocare e pedalare sul lungomare senza meta e camminare per il mondo senza passaporto e dare dei soldi a qualcuno senza chiedermi se li userà bene o male, per pura generosità, si amo la generosità, quella data e quella ricevuta, e amo amare e non essere diffidente per paura di un altro dolore, perché vorrei saperlo mettere in conto e fregarmene. Ecco, questo più di tutto, vorrei: avere un pezzetto di pelle per correre ancora qualche rischio. La farò crescere.
Ringrazio mia figlia Sole per avermi concesso di arrivare alla fine di questo monologo, lei che sta osservando la finestra abbracciata a una grande palla da pilates. Ah, si, certo, amo immensamente il pilates anche se da un po non posso praticarlo. E mica si smette di amare a causa della separazione, no?