Eduardo mio, e che brutta fine abbiamo fatto

Mi sembrava di sentire finanche l’odore delle assi di legno del palcoscenico. Conoscevo le battute a memoria; ogni espressione del volto di ogni attore di ogni commedia. Niente mi è mai sembrato così miracoloso come quella cosa magica che sapevano fare quei cosi magici che stavano rinchiusi dentro quel cubo, in bianco e nero. L’ ho visto prima in TV, il teatro. Certo, non era la stessa cosa che esserci dal vivo, ma ai miei tempi le magie funzionavano meglio, bastava meno, dovevamo immaginare moltissimo. Poi, sono arrivate le recite scolastiche, le prove costume, i pomeriggi di studio persi, e l’ Accademia, quella dei veri attori e ancora pomeriggi di studio persi e nottate per rimettersi in pari. Intanto il teatro, quello vivo, era giunto in paese e, finalmente, l’odore dei camerini mi aveva dato la conferma: si trattava del luogo più bello del mondo, era la magia più potente dell’Universo. O teatro, Eduardo, capisci…chiuso. Come uno sfratto di massa. Siamo senza casa. Esuli. Orfani.

Marie Louise – La signorina Papillon

Io, bambina, gli studiavo le linee del viso, ogni espressione, increspatura, piega della pelle. ‘E come si fa? – pensavo – Chissà se davvero questa cosa si può imparare o devi nascerci per saperla fare’. E’ la magia delle magie, che, all’improvviso, si sospendono tutti i guai e si diventa tutti uno solo, un’unica anima collettiva, non importa che sia maschio o femmina, ma un’anima sola che partecipa, rapita, a questo meraviglioso incantesimo. E’ la panacea per tutti i mali, il tappeto volante, il genio della lampada, l’astronave, il razzo missile…anche solo scriverne, essermi concessa di aprire il faldone antico che contiene i documenti TEATRO, mi solleva, mi fa tornare a respirare, mi sento ancora viva.

A me il teatro ha salvato la vita, mi ha dato una casa, una famiglia, un’appartenenza. Non solo il teatro fatto da me, ma anche quello nel quale ero spettatrice semplice. Se penso a quel tempo mi si allarga il cuore. Era tempo di sogni, di grandi progetti, ma anche di concretezza, di ore e ore passate a provare, di settimane di attesa per il prossimo spettacolo e poi la platea, le luci si spengono e l’astronave riparte. E questi qui che stanno spaccando bottiglie di birra sul muretto sotto casa e schiamazzano e danno tanta noia, questi…il teatro non avrebbe potuto raddrizzarli?

Aaaaahhhhh, Edoardo mio, che tempi incerti e tristi. Tu che vivevi dentro quella scatola, in bianco e nero, eppure così pieno di colori e sfumature, tu che ne pensi. C’avimma fa? Tu, con la tua tazzulella di caffè, la piega del labbro diretta verso l’ironia, lo sguardo immenso di chi ha in tasca un segreto inenarrabile…tu che dici? C’avimma fa? “E’ o vero, Robertì?” “E’ o vero, Eduà”. E allora, ho pensato, senti questa, ho pensato che potrei immaginare ancora più forte, come quando ho immaginato Sole e guarda come mi è venuta bene. Perché a pazzi e creature Dio li aiuta e a casa mia ci siamo entrambi. Ho pensato che mi metto a immaginare forte forte e una soluzione la trovo. Come quando ti dimentichi la battuta in scena e, volere o volare, un modo per uscire dall’impaccio si deve trovare. Ho pensato che a noi, gente di teatro, non ci possono fregare, perché noi sappiamo il freddo, sappiamo la fame, sappiamo l’incertezza del domani, sappiamo ‘apparare’ quando ci dimentichiamo la battuta. Solo a stare vicini vicini ancora non abbiamo imparato bene ma, hai visto mai che questa non sia la volta buona.

Eduà, sai che ti dico? Io ne approfitto per riprendere le fila di un discorso interrotto. Ci ripenso. Lo risento. Ritorno a quella scatola in bianco e nero, all’odore del camerino, alle origini, al desiderio, alla necessità, a…, a…, come si dice? Certo! Io ritorno all’urgenza. Esatto. Eduà, senti questa che è bella assai. Io mo mi vado a riprendere quella bambina cicciottella che entra nel camerino di un attore antico e si fa fare la dedica sul programma di sala di un Pirandello. Me la porto a casa e mi ricordo cosa è urgente. Ah. Già mi sento meglio. Vedrai che passerà anche questa nottata, ma non voglio essere colta di sorpresa. Voglio farmi trovare migliore. E poi…sai che c’è? Il teatro non è un posto. Vedrai che verrà fuori pure dai tombini, tra un po, vedrai.

Pubblicato da Floppartista

Roberta Guerrera is an actress and multidisciplinary artist born in Italy. She is graduated in theatre and cinema. Since having finished a BA in Theatre and Drama at La Sapienza University in Rome she has branched into experimental and socially inclusive theatre and has studied and performed with artists from England, Czech Rep, Spain, Russia, Argentina, Denmark, Germany, Egypt, Australia and Italy. She has performed with touring companies and also with her own groups such as OffProjectTheatre and Off Theatre. She has been featured in many stage productions, plays, movies and dance perfomances. She has been leading workshops in theatre and drama, has worked in many theatre integrated courses for ‘Italian Federation of Social Theatre’ and collaborates with Teatro Patologico. Artistic director in many children theatre festivals she has worked on plays and workshops exclusively directed to young people. She is also a playwright, screenwriter, a contributor to magazines and journals and a novelist. Her plays have been staged in various contemporary art festivals in Italy. She is currently working as actress in Italian theatre and cinema productions and as theatre and drama teacher with schools and art factories in Lazio (Italy). She also works in contact-tango, physical theatre and contact-improvisation, creating and participating in performances. She's obsessed with stories: telling, listening to, eating, acting, inventing them. It's everything about stories!!!

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