
Nelle ultime settimane sono stata una di quelle donne antiche che abitano memorie lontane: instancabile. Donne con le mani sui fianchi, che le fanno somigliare a giare di terracotta; donne con i muscoli gonfi da calciatrici, donne dritte come fusi verso le loro mete, senza tempo per la stanchezza; senza tempo neppure per concepire l’idea della stanchezza.
E poi sono stata leggera, impalpabile, come una minuscola foglia incagliata in una rete e mossa da una brezza sottile, quasi impercettibile. E poi sono stata una grande chef, che muove le mani con la sapienza di una direttrice d’orchestra, proprio sopra la bocca delle pentole fumanti, per far si che il vapore profumato dei cibi in cottura le penetri le narici e le suggerisca quando la magia è compiuta…e una grassa vedova, con abiti neri, insistente sulla propria chiusura, ostinata nel lutto, che indossa, dimessa, il volto di chi ha gettato la spugna…e una pugile, esperta, determinata, abile nell’incassare tanto quanto nel portare a segno i colpi, con passi di danza veloci ed eleganti a circondare l’avversario…e un’attrice fallita con un promettente futuro alle spalle e una serie infinita di numeretti da clown amatoriale da far ridere a crepapelle la bimba piccola piccola…e una veterinaria improvvisata in un villaggio bombardato da chissà quale esercito nemico a vegliare le bestie morenti…
Nelle ultime settimane sono stata mia nonna, pur non avendone la fibra ne il temperamento. Sono stata un titano solitario, la gigante invincibile che sa cosa, che sa come, che sa quando, che sa quanto, che, di certo, non si lascia zittire neanche da Dio, perché ‘Dio, tu questa cosa a me me la devi fare!!!’. Lei a Dio dava del tu e se lo poteva permettere perché lo aveva servito e lo aveva amato con una forza senza pari. Il suo amore aveva un trasporto che non saprei neanche descrivere e che solo ora riesco a sentire sulla pelle pur non comprendendone l’oggetto. Mia nonna poteva abbracciare Dio e dargli del tu: erano amici. Io questo no, ancora no.
Ma ho cucinato i pasti, cambiato i pannolini, fatto la spesa, preso gli appuntamenti, fatto fatto fatto fatto tutto quando si deve e come si deve. Ho dato le medicine agli orari giusti, messo i giusti pigiamini, fatto le giuste poppate, spalmato le giuste creme, consolato pianti, accudito moribondi, accettato la morte, massaggiato pancino, pelato patate, assunto integratori, predisposto mascherine, disinfettato, deterso, ninnato, vegliato, sollevato secchi di acqua calda, smontato, rimontato, svuotato e riempito vaschette…
…in mezzo a un deserto che si allargava come fosse stato una macchia d’olio e diveniva immenso e immensamente silenzioso.
Al giorno 37…pausa…le mani dai fianchi son scivolate giù, pesanti. La schiena si è piegata in un modo un po strano, formando una sorta di gibbo, credo gonfio di tristezza, e la necessità di ‘essere’ è diventata tanto pressante da solcarmi il collo con nuove rughe. Mi son guardata allo specchio ed ero ancora una donna antica, ma non più come mia nonna: ero una gallinella spaurita, con le piume avvizzite, che è scampata alla pentola perché la bimba più piccola della cucciolata se ne era perdutamente innamorata. Sarà l’unica gallina del pollaio ad avere il permesso di morire di vecchiaia. Ce le avete presenti le galline? Chi di voi ha mai trascorso del tempo a osservare ed amare le galline che passeggiano libera sulle aie? Sembrano sempre sorprese o curiose, impiccione che, a colpi di collo, intercettano tutti i pettegolezzi scivolati dai brusii degli umani. Ce ne è una sola che se ne sta in disparte e guarda, malinconica, le altre e sembra voglia dire, con quelle occhiate profonde e acquose, ‘tanto si sa come va a finire!’.
Mentre la cana, faticosamente, lentamente, moriva, io le sussurravo ‘Se tu fossi stata un tacchino, amore mio, ti avrei amata allo stesso modo’. Perché l’amore, quello giusto, sa essere estremamente ridicolo senza vergognarsene. E poi ho cercato di mescolarmi alla ‘maggioranza’ e non c’è neanche l’ombra di disprezzo quando penso a questa complessa e non troppo bene individuabile entità che, per comodità, chiamo ‘maggioranza’. Non ci sono riuscita. Per questo son diventata una donna antica e mi sto trasformando in una giara.
Rubo il tempo dello scrivere alla mia bimba addormentata. Allaccio i fili complessi della mia malinconia per farne un ricamo. Non cerco un ordine. Sono solo una donna antica, che porta dentro di se tutte le sue antenate e, forse, anche la sua progenie. Sono una che fissa le galline con amore, che si sente parte dell’Universo senza rivendicare nessuna superiorità, perciò prova a non calpestare le formiche e non ama strappare le ‘erbacce’ dai vasi. Un tempo sarei stata una strega.
Oggi sono una giara.
Una giara dal prezioso contenuto.
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Graaaazieeeee
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