
Quando questa brutta storia è cominciata (questa storia che, alla fine, non è tanto brutta, dai!) ero solo una ragazzina, praticamente una bambina smarrita come quelli dell’ Isolachenoncè. Avevo mille passioni e milioni di entusiasmi: il teatro, un motorino rosso, il mare (che valeva per mille, quasi una malattia; il mare che era un organo vitale), i libri che mi facevano stare sveglia tutta notte e tardare a scuola, gli amici, l’associazione per la donazione del sangue, il volontariato, le trasferte, i panorami mozzafiato, il mare, il teatro, i libri, il motorino rosso che mi rendeva libera; avevo il mito della libertà. Diciamo che quando è cominciata questa brutta storia ero una ragazza fighissima, very cool, e avevo tutti i numeri per vivere una vita altrettanto coooollll.
Per fortuna, improvvisamente, è andato tutto malissimo. La passione è diventata vuoto, l’allegria è diventata un silenzio orribile e gli amici, quelli, tantissimi amici…beh…puufff ed erano scomparsi tutti come d’incanto.
Oggi ho fatto una meditazione sull’abbondanza. Di solito medito in silenzio, sul mio respiro, ma, ultimamente, ho bisogno di sentire una mano che mi porta, di esplorare nuove strade. Ecco perché ho scelto di fare delle meditazioni guidate e di lavorare sui miei desideri; in particolare sull’abbondanza perché, ultimamente, mi sento abbastanza in scarsità. Ero nel mio meraviglioso studio, a occhi chiusi, con la voce che mi parlava, le mani in grembo e Cana che, fortunatamente, se la dormiva sul suo tappetino rinfrescante. Ascoltavo e mi fidavo. Obbedivo. Il respiro si è fatto lento e regolare (sensazione impagabile!) e il corpo si è modellato sulla forma di una pacifica guerriera, seduta, immobile, sicura come una montagna. La meditazione è magica. Provatela!
“Fai tre respiri profondi e apri gli occhi. Guardati attorno e focalizzati sugli oggetti che ti danno un senso di abbondanza”.
Ho obbedito. Ho aperto gli occhi e mi son guardata attorno ed ero circondata dall’abbondanza. Non si trattava di ricchezza materiale, ma di tutte le parti di me stessa che erano potute fiorire, che avevo visto combattere e dare frutto. I quadri, le strane opere che ho creato nel corso del tempo, i manuali di teatro e di cinema, pezzi di scenografie, appunti, gli immancabili scarabocchi, Eugenio Barba con ‘Teatro: solitudine, mestiere, rivolta’; c’era la solitudine, c’era il mestiere e c’era la rivolta. C’erano i libri di inglese, di spagnolo, francese, arabo, ceco, albanese, e i dizionari, e i diari, e Dolores la bambola che balla e si, c’era davvero una sorta di circo. C’ero io. C’era la mia guerra per essere esattamente ciò che sono.

Ma la cosa più bella che c’era, era la consapevolezza della bellezza. Era avere occhi e pelle e voglia di vedere tutta l’abbondanza che mi circondava. Mi son sentita fortunata. Se son matta? Si, lo sono, ma è proprio questa la mia fortuna. L’Universo mi ha concesso la forza e la determinazione per realizzare me stessa, per ribellarmi a ogni tentativo di omologarmi. Sono una non omologata, come i caschi che si comprano a Porta Portese.
L’Universo mi si è parato di fronte e mi ha detto: “Io son quà. Se vuoi guardarmi, se vuoi aprirti, se vuoi fiorire: io sarò con te. Cospirerò in tuo favore”. E non si è preoccupato di infondere saggezza nella testa multicomposta del signor TIM o della signora ACEA; non si è curato di rendere navigabile un portale, di amministrare democraticamente una città o un’intero Paese, no. Non mi da una mano quando minacciano di tagliare il telefono per un supposto mancato pagamento e non c’è modo di comunicare i dati dell’avvenuto saldo, quando la realtà quotidiana è fatta di servizi non disponibili e siti non navigabili, neanche da Batman. No, l’Universo di questo non si cura.
L’ Universo si dispiega ai tuoi piedi solo perché tu possa capire quanto sei potente, quanto sei unica, quanta abbondanza c’è ed è solo per te. L’Universo ce l’ha proprio con te: la mette sempre sul personale.
Se non ci credete, come spiegate il fatto che mentre scrivevo è apparso un geco sul vaso dei miei basilichi (due varietà diverse)? Il geco è simbolo di adattabilità, rigenerazione, comunione tra il regno dei morti e quello dei vivi, protezione, guarigione, salute (oggi mi sento una monnezza per vari disturbi), prosperità, and so on. Insomma il geco è una divinità che benedice la casa e scaccia la malasorte. Io sarò pure matta, ma, proprio adesso, in questo esatto momento, Giovanni (l’ho chiamato così), il geco di città, sta sul mio balcone. Oggi, tra la scrittura della prima e quella della seconda parte di questo post dal titolo ‘Che fortuna!’, Giovanni il geco è arrivato sul mio balcone. E se volete ancora insistere co sta manfrina del caso, beh, fate come vi pare. Io, tra un geco che per caso è capitato sul mio balcone e Giovanni che è venuto apposta per me a portare buona sorte e prosperità…beh…beh…indovinate chi scelgo!