
Qualche giorno fa ho accompagnato il papà di K. a un incontro con i prof del figlio. Lui è egiziano, parla poco italiano e la moglie parla solo arabo. Non potrebbero gestire la complicata situazione di K. da soli. Entriamo nell’edificio scolastico e domando alla custode se mi indica dove posso trovare la prof di lettere e il collega del sostegno. Mi guarda con un’espressione vuotissima. Se le avessi chiesto di quadrarmi un cerchio le avrei fatto meno male. Ripeto i nomi, scandendoli il più possibile. Attorno a noi un fiume di gente vociante che si aggira in cerca della propria collocazione. Rumorosamente.
-Nun ce sta a collega pa sostituzione-
Nell’ampio ingresso della magione del dio Miur rimbombano le voci.
-…pa sostituzione one one ONEEEEE…-
-Aò, me devi chiamà quarcuno pe coprimme a prima cci’-( cci cci cciiiii CCCIIII)
Insisto. Ripeto che abbiamo appuntamento con la prof Tizia e il prof Caio. Lo dico piano, i miei occhi nei suoi occhi. Rimbombano frasi. Io e W, il papà di K., ci guardiamo come fossimo due pesci in un acquario. Soprattutto lui, che ha trascorso la notte a lavorare scaricando e caricando roba davvero pesante; lui sembra annegare silenzioso in questo antro scolastico…opprimente. Ha sempre l’aria di chi crede che io possa risolvere ogni inghippo, che io ci capisca molto più di ogni altro in questo sistema che, lo sappiamo bene, non è solo incomprensibile, ma anche aberrante. La custode è persa, boccheggia, tocca la cornetta del citofono interno, ma non la prende in mano davvero; si guarda attorno, sembra stia chiedendo aiuto…arriva la collega e, finalmente, scopriamo che siamo attesi per un GLH.
-Un che?-, faccio io
-Un GLH, signora-, risponde lei come se il problema fosse una questione di udito e non, piuttosto, una totale mancanza di senso.
-Mi perdoni, ma a me sembra la sigla di un corriere. Dobbiamo spedire il bambino all’estero?-
Non ride. Mi guarda seria, scuote la testa. W., il papà di K., si è rilassato. Ha capito che controllo la questione. Mi delega ogni passo, povero illuso. Ce la metto tutta.
-Signora, avete una riunione con il consiglio dei docenti per la situazione del bambino-
Dice la parola bambino con un tono complice e poi piega la testa da un lato come per dire ‘Ci siamo capite, vero?’.
-Aspettate qui, si stanno riunendo. Poi vi faremo accomodare-
Oddio, una commissione di professori di scuola (per Floppartista come la kriptonite per Superman)riuniti in un GLH (che è sto coso?) e vogliono parlare con noi. Con noi? Ma ci stiamo prendendo in giro? W. non può parlare. Vogliono parlare con me. Una goccia di sudore gelido parte dalla nuca e finisce nelle mutande. Rabbrividisco. W. è sereno, beato lui, perché non ci ha capito niente.
Per rilassarmi ripenso a Cana. L’ho lasciata a casa con l’amica P. con la quale stiamo lavorando alacremente a un bando che ci ha mangiato due week end e parecchie ore di sonno (effetti collaterali dell’Arte sulla vita quotidiana). P. aveva portato i cornetti per addolcire i lavori forzati: uno vegano per me e uno integrale per se. Prima di uscire per il GLH sono andata in bagno. Sarebbe stata una cosa rapidissima. Da lì ho sentito un breve fruscio di carta scartata. Ho pensato che P. stesse mangiando il cornetto integrale e che avrei dovuto mettere il mio cornetto vegano al sicuro, in un posto alto: conosco la mia bestia domestica. Troppo tardi. Vado in cucina e Cana mi guarda. Sul pavimento i resti della bustina di carta e di due tovagliolini. Neppure le briciole ha lasciato. Mentre la rimprovero non posso rimanere seria: la mia bestiolina anziana che riesce ad arrampicarsi senza rompere tazze e bicchieri e a raggiungere i suoi obiettivi: sempre! “Maleducata, non ti voglio più bene!” e rido di nascosto. Lei è serena. Ha fame. Colpa mia che non le do abbastanza cibo. Aguzzina, io!
Arriva il prof di sostegno, A., un ragazzo magro magro che, con accento siculo, ci invita a seguirlo. Alle sue spalle W. ride perché dice che suo figlio è più grosso del prof. Nella testa di W. un autorità maschile deve avere statura e peso fisici. Ci accomodiamo attorno a un tavolo con le prof che arrivano una dopo l’altra: inglese, arte, lettere. Dovrebbe esserci la dottoressa della ASL: 20 telefonate senza risposta e tre riunioni già saltate, mi rivelerà il prof di sostegno a riunione appena terminata. Per darmi un tono prendo quaderno e penna dallo zainetto rosso che mi sono appena tolta dalle spalle. Lo zainetto rosso è un’appendice del mio corpo. Un’altra goccia di sudore, molto più grande della precedente, mi gela il fondo schiena. Son diventata vecchia, ma la scuola mi fa sempre lo stesso effetto: paura.
-Siamo qui per il GLH-, dice la prof di lettere che è pure la capa della situazione.
-Beh, credevamo di incontrare solo lei e il prof A. Mi perdoni, GLH sembra tanto la sigla di un corriere (non riesco mai a trattenere il mio sarcasmo secondario all’ansia) o un valore delle analisi del sangue. Che vuol dire?-
Neanche lei ride. Ci siamo, penso, ho fatto un guaio. Le colleghe mi guardano incuriosite, ma altrettanto ferme. Il senso dell’umorismo, signore e signori, come fate a vivere senza? Il prof di sostegno, poi, è proprio sofferente. Quattro ore a settimana con K. e altri due ragazzi affidati per diciotto ore e le ASL che non rispondono e il lavoro che è troppo e il tempo che è poco. Il suo viso è immobile. Stanco. Maneggia i fogli dattiloscritti della sua cartellina blu. La prof di lettere mi svela il mistero.
-GLH: gruppo lavoro handicap. Ci riuniamo, lei capisce, per la situazione del bambino, per collaborare…-
-Aaahhh (un’altra incontinenza), siamo handicappati, ecco tutto.-
Fortunatamente non capiscono e si cominciano i lavori del consiglio. Mi ripeto che non devo mai far cenno al teatro, che non capirebbero, che devo essere la tutor seria e competente che vuole collaborare con loro. Devo, per il bene del bambino, incarnare un personaggio credibile. Risulto una frikkettona che canta canzoni sui verbi e danza gli alfabeti, una matta controllata che non si lascia convincere da una cultura triste e da antri scolastici poco gioiosi. Fortunatamente, la mia passione, l’amore squilibrato che ci metto, li convincono. Mi spiegano che avremmo bisogno di un sostegno più lungo, il massimo delle ore, perché loro devono seguire il resto della classe e non possono stare ai tempi di K, che, con la determinazione di un bulldozer, alza di continuo la mano e ripete ‘Non ho capito’. Di continuo, ossessivamente. Lo stimo.
Io non ci sto, come al solito. Non mi convincete. Anche io sono H perché non riesco mai a stare a un passo comune, ma son convinta che lo siamo tutti, che tutti abbiamo diritto a un sistema che ha tempo per ognuno e non solo per la maggioranza. Alle elementari mi annoiavo perché sapevo già tutto, avevo capito da un pezzo e volevo andare a giocare. Non ci volevo stare seduta al banco uguale per tutti a fare le stesse cose con gli stessi programmi, a fissare una lavagna o un foglio di carta, a leggere i loro libri e non i miei. Ero handicappata, ovvero mi erano stati posti ostacoli insormontabili senza che mi fossero proposti mezzi validi per superarli. GLH…mah…sarà…e io che credevo che le parole con la h non si usassero più. Che bestia pericolosa le parole: quelle cambiano senza cambiare nessuna sostanza. E i K. di tutto il mondo pagano!
“Il sapone e l’istruzione non hanno effetti rapidi come un massacro, ma a lungo andare sono più micidiali” (Mark Twain)
Senso dell’umorismo, c’è gente che non ne ha mai sentito parlare…
Buona serata.
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Sono quelli più divertenti, quelli che quando fai le battute non muovono un muscolo. Tirano fuori la mia parte dispettosa : ) Poveri…che fatica deve essere la vita senza le risate.
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