
E’ piovuto moltissimo. Non ha smesso per giorni e notti. Abbiamo dormito con l’acqua che batteva sulle finestre, faceva suonare le grondaie; con il ticchettio instancabile delle gocce cadute in ogni fessura disponibile. Il fiume è grosso,non sta più negli argini, è marrone. I gabbiani galleggiano grassi sulle acque fangose. I turisti, con gli impermeabili di plastica colorata e il Colosseo stampato sulla schiena, scattano foto su foto anche se sanno che esse ‘andranno perdute nel tempo come lacrime nella pioggia’. Eppure scattano compulsivamente, affacciati alle balaustre dei ponti sul Tevere. Roma è grigia, grassa, stanca, bucata come una gruviera di ottima marca. Le strada sono sconnesse, ma della magnificenza della città rimane ancora il suo carattere spocchioso e l’aria di superiorità di una vecchia signora dei quartieri alti.
Cammino, masticando la pizza bianca con rosmarino e sale grosso, e penso e, mentre penso, capisco che ho sbagliato tutto: dovrei camminare camminando e smettere di camminare pensando. Dovrei camminare per camminare e non usare il cammino come scusa per pensare.
Non ho sbagliato tutto. Mi guardo attorno. Faccio spazio per i bambini francesi che si rincorrono tra le pozzanghere, per il profilo del cupolone, per il sorriso del ragazzo senegalese che vende borse taroccate, per i riflessi sull’acqua caduta, per il dolore che mi assale determinato a ottenere il proprio scopo, il più in fretta possibile: il cambiamento, la crescita. Lascio passare tutto quello che c’è, dentro e fuori, e cammino. Mi abbandono alla consapevolezza di una perdita imminente, di una persona cara che si dissolve nel tempo e abbandona, faticosamente e lentamente, abbandona me e il campo di battaglia.La vita va così. Serve l’umiltà per ammetterlo e la determinazione di dare una vera forma alle acque che scorrono sotto ai nostri ponti. Percorro chilometri come fossero pochi metri. Quanti riflessi! Gli alberi spogli mi guardano dall’acqua delle pozzanghere e sorridono. Come ho fatto ad arrivare fin qui? Ero così sola e così sprovveduta. Da dove mi è venuta questa maledetta-benedetta forza che mi lancia come un missile senza traiettoria? Mi fermo. Mi affaccio a guardare il fiume gonfio e penso che presto esonderò anche io perché è naturale, è necessario, è inevitabile. Grazie, bambina mia, di aver resistito e aver dato forma a tutte le acque e a tutte le lacrime che son cadute sulla tua terra instabile. Avevi ragione tu.
Nel golfo buio di una sala cinematografica mi arrendo alla favola,finalmente. Domenica era giorno di voto,di illusione, di speranza, giornata intrisa di paure e tristezze varie. Era il giorno giusto per una favola. Vado al cine con un’amica. Vediamo ‘La forma dell’acqua’.
Le favole hanno i cattivi cattivissimi, i buoni buonissimi, sono colorate, hanno melodie sognanti e, soprattutto, nelle favole l’amore ha una sola forma, un solo colore: va dritto al punto e vince. Bisognerebbe raccontarne di più, di queste storie, ai bambini (soprattutto ai maschi), di queste storie nelle quali i buoni sono sempre buoni e chi ama tiene stretto e chi crede combatte e chi combatte vince e non è l’immortalità il premio. Io e la mia amica eravamo le sole a ridere a crepapelle per le più banali battute. Pareva che tutto fosse lecito. Non c’erano bambini, eppure sembrava che fossimo tornati tutti bambini; noi a sganasciarci dalle risate e gli altri incantati e sprofondati nelle fantasticherie del grande schermo. Mi son sentita spesso dire che devo smettere di credere alle favole e io, invece di arrendermi alla pressione, son diventata una favola, un cartone animato, un personaggio e ho continuato a raccontare la mia storia con la voce che ho scelto, senza compromessi.
La favola? Che ne pensi, tu? Mi guarda, scodinzola, corre, salta, fa un giro in aria, atterra, mi guarda ancora, va a prendere una papera di gomma con un cappellino con i colori dell’Inghilterra e me la strofina sul ginocchio. ‘Va tutte bene’, mi dice. Non la sentite, eh? Siamo profondamente dispiaciute per voi che non avete mai sentito la sua voce.
Noi, qui,abbiamo capito che le favole ci servono per vivere e per arginare l’ombra che ci sta avvolgendo, la realtà maligna che si sta spandendo attorno a noi. Ci vogliono i buoni tutti buoni delle favole per combattere i cattivi tutti cattivi della vita vera. Saremo buone buonissime, contrapposte a cattivi cattivissimi e vinceremo i nostri biscottini della fortuna: a lei il biscotto, a me il bigliettino; adoro le sorprese. Il pensiero e l’immaginazione danno forma alla realtà. Non sono solo favole! Proviamo a immaginare qualcosa di meglio di quello che sta accadendo. Non sarà difficile!!!
Quando cammino mi capita di scrivere nella mente articoli belli quasi come questo. Nella capoccia ci vorrebbe una slot per una scheda Sd, sai che comodità? Il tuo articolo commuove.
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